Arditi, un lampo di pugnali oltre i reticolati

Arditi, un lampo di pugnali oltre i reticolati

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di Cristiano Maria Dechigi

Millenovecentodiciassette la guerra infuria da oltre due anni. Nonostante la pressione che l’Intesa mette sugli Imperi Centrali, questi continuano a mietere successi. Hanno piegato il Belgio e la Russia, sono schierati in Francia, hanno eliminato Serbia e Romania. Come l’anno precedente le uniche vittorie in Europa sono state colte sul Fronte Italiano. Dopo il successo nell’arresto dell’offensiva austroungarica della primavera 1916, da noi stessi definita “Spedizione punitiva”, è venuta la presa di Gorizia. In quest’anno buio che segue che resterà famoso per le sommosse e l’ammutinamento di interi Corpi d’armata dell’esercito francese, per il crollo della Russia zarista sotto i colpi della Rivoluzione d’ottobre, per l’entrata in guerra degli Stati Uniti, la vittoria sulla Bainsizza e la formazione dei reparti d’assalto rischiano di passare inosservate, cancellate dalla bruciante sconfitta di Caporetto.

Sono invece due esempi di modi nuovi di affrontare la spaventosa realtà del campo di battaglia di allora, che favorisce chi difende e che, alla lunga, sfianca e spegne le offensive.

Reso evidente dai fatti c’è la necessità di un cambio di passo nella conduzione dello scontro. Finita per sempre l’epoca delle fanterie che agiscono in massa o che manovrano in linea, aprono il fuoco coordinato sul nemico serrato in quadrato, la ricerca di soluzioni alternative per il combattimento di fanteria viene lasciata dal centro all’iniziativa delle Armate che sviluppano, secondo necessità, soluzioni diverse. Nel corso del 1916 si era sviluppata una vera cooperazione fra fanteria e artiglieria che aveva dato i suoi buoni frutti ma questo non si era dimostrato sempre sufficiente per concludere il combattimento in modo vittorioso per l’attaccante. Serve uno strumento nuovo capace di guidare l’avvicinamento della fanteria in modo coperto, neutralizzare le postazioni di mitragliatrici, aprire varchi nei reticolati, catturare prigionieri per ottenere informazioni, osservare e capire quale è lo schieramento nemico, sfruttare in profondità il successo ottenuto.

Sarà la Seconda Armata del Generale Capello nell’estate del ‘17 sotto l’impulso del Generale Grazioli a costruire la prima scuola, a codificare i passi necessari per lo sviluppo di una specialità nuova della Fanteria. A Sdricca di Manzano si forma la prima Scuola dei Riparti di assalto scuola che raduna tutti gli input arrivati dalle esperienze condotte nel 1916 dalle unità improvvisate, frutto di intuizioni e di necessità, gli Esploratori reggimentali, la Compagnia Volontari Esploratori, le compagnie scudate. Tutte queste esperienze si traducono in quattro compagnie che daranno prova  di capacità nell’XI battaglia dell’Isonzo detta appunto della Bainsizza dove gli Arditi della seconda armata confermano le loro peculiarità. Non sempre nel corso di questa vittoriosa offensiva i risultati ottenuti da questi soldati saranno sfruttati appieno ma la differenza che possono fare sul campo di battaglia balza chiara agli occhi di tutti.

Come sappiamo l’esaurirsi dell’offensiva ad un passo dal solco di Chiapovano salva L’Imperial Regio Governo dal collasso e lo induce a ricercare l’appoggio tedesco. L’offensiva italiana che verrà nella primavera del 18 se scatenata spazzerebbe via l’esercito austro-ungarico, fortemente esaurito dalle spinte continue degli italiani guidati dal testardo egocentrico Cadorna, incredibilmente ancora alla testa dell’Esercito Italiano; non uno dei Capi di Stato Maggiore degli Eserciti Alleati ed avversari che hanno iniziato il conflitto ha conservato la propria carica così a lungo. Ma Caporetto è alle porte.

Lo sviluppo degli Arditi non si ferma neanche durante le tristi giornate di Caporetto. Anzi. Dovunque questi soldati si trovino l’avanzata nemica rallenta, si arresta, si fa sospettosa e guardinga. A Udine un pugno di Arditi contende la città al nemico che arriva. Sul Grappa saranno fra gli animatori della lotta che consacra a dicembre la vittoriosa battaglia d’arresto.

Gli Arditi si riordinano e assumono una propria fisionomia per uniforme, insegne, atteggiamento, spirito di corpo. Rispetto alle formazioni d’assalto nemiche, sorta di unità di fanteria leggera con compiti di rottura, gli Arditi sviluppano il metodo, la preparazione, l’addestramento individuale, la condivisione degli obiettivi, un carattere aggressivo unico, una determinazione che rende il singolo Ardito elemento in grado di risolvere un combattimento. Caratteristiche che saranno alla base delle forze speciali future.

Il 1918 è l’anno della consacrazione. Da piccoli nuclei di specialisti a Grande Unità di Manovra gli Arditi sono riuniti in una Divisione poi due poi in un Corpo d’Armata. Ancora protagonisti aprono la strada alle fanterie catturando nella battaglia del Solstizio il Col Moschin ma faranno faville dovunque schierati. Nell’offensiva finale di Vittorio Veneto non si risparmiano, ovunque lungo il Piave e sul Grappa sono i primi con il loro slancio formidabile.

L’arida contabilità gli assegna circa tremila medaglie al valore individuale, tra le quali spiccano ben 20 Medaglie d’Oro al Valor Militare mentre circa 3.000 sono i caduti, innumerevoli feriti e mutilati. L’Ordine Militare di Savoia al Labaro del XXIII reparto per tutte le unità ardite segna il premio della Patria a questa compagine, nata per esigenza di guerra che non è né Arma né Specialità.

Il dopoguerra vedrà la smobilitazione interessare inevitabilmente anche gli arditi. Classi su classi di combattenti vengono congedate e le unità dopo la dolorosa defezione fiumana vengono ridotte ad un reggimento che nel 1920 viene sciolto.

Secondo nuove linee di tendenza, le capacità sviluppate dagli arditi devono divenire patrimonio di qualsiasi unità di fanteria; in effetti in ciascuna unità dell’Arma base, durante la fase finale della guerra, si è formato un plotone di Arditi reggimentali che però sarà cancellato dagli organici. Lo stesso Generale Grazioli giungerà alla conclusione che non c’è spazio in tempo di pace per unità del genere, troppo turbolente, poco rispettose dell’inquadramento sabaudo, troppo inclini a colpi di testa difficilmente gestibili in tempi normali.

Sappiamo bene che non sarà così, certe capacità vanno coltivate e mantenute in ambiti dedicati e che reparti speciali fioriranno in tutti gli eserciti che saranno coinvolti nella guerra successiva. L’Italia ci penserà davvero soltanto nel 1942 formando, con la grande fatica di dover recuperare il tempo perduto e le capacità abbandonate, un reggimento nell’Esercito ed uno dell’Aeronautica. Risorse pregiate verranno disperse in impieghi costosi e poco redditizi. Nonostante l’entusiasmo e le capacità individuali di questi nuovi Arditi, mancherà completamente la “vision” ed il tempo di “prendere il passo” in una guerra totalmente cambiata per armi e metodi di lotta da quella che li ha visti nascere ed affermarsi.

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